7 COSE (BELLE) CHE SUCCEDONO QUANDO IL CAPO NON CONTROLLA

Posted by Dario Favaretto

Mi permetto di riportare al seguito una scrittura di Annalisa Monfreda, direttrice di Donna Moderna e Starbene:

– Mamma, il giornale che stai leggendo è già stampato?

– Sì

– Allora perché lo correggi?

È sabato mattina e io leggo accuratamente i due giornali che dirigo, prendo appunti di fianco ai pezzi, segno refusi, appiccico post-it.

Eccesso di zelo? Abnegazione al lavoro?

No, prima lettura. Da circa sei mesi io non leggo i contenuti di Donna Moderna e Starbene prima che vadano in stampa. Lo faccio dopo. E questa lettura post-pubblicazione è uno dei più importanti momenti del mio lavoro.

Allora sono un’irresponsabile? Una lavativa?

No, e vi spiego perché.

Divenuta direttore 8 anni fa, con poca esperienza e tante insicurezze, non solo leggevo tutto, ma correggevo fino allo sfinimento, talvolta riscrivevo interi passaggi. Il mensile lo permetteva. Passata al settimanale, ho ridotto le correzioni alle strette indispensabili. E per inserirmi senza danno nel flusso lavorativo, le facevo di notte, il mercoledì e giovedì, le giornate più lunghe della settimana.

Poi, sei mesi fa, un lungo processo riorganizzativo guidato da una società di consulenza. Il calo di motivazione dei redattori così come gli imbuti nel flusso di lavorazione sono stati curati con una formula che oggi mi suona magica: responsabilità end-to-end, dall’inizio alla fine. Ogni pezzo e ogni attività ha il suo owner, responsabile. Ed eccoci qua. Il mercoledì e il giovedì notte, io dormo.

Ma non è per condividere la mia ritrovata pace notturna che ho deciso di scrivere questo post, bensì per raccontare come questo metodo ha cambiato il nostro modo di fare i giornali.

La redazione lavora meglio. Quando leggevo il giornale prima che andasse in stampa, mi succedeva di ricevere pagine irrisolte. Oggi, tutto ciò che leggo è pensato, ragionato, preciso. Nel frattempo, non ho cambiato colleghi. Ho solo disinnescato un normale meccanismo psicologico: delegare la soluzione, lo scioglimento del dilemma, la scelta definitiva a chi sta sopra di te. Oggi, se anche c’è qualcosa che io avrei risolto diversamente, i miei colleghi hanno fatto una scelta consapevole e sanno motivarla. Spesso è più brillante di quella che avrei fatto io.

Le bestie nere che ci tormentano da quando i correttori di bozze sono stati “tagliati”, leggi: i refusi, si sono ridotti sensibilmente. Com’è possibile? Passa al punto 3.

È aumentata la collaborazione orizzontale. Le gerarchie si sono scomposte. I responsabili delle varie sezioni del giornale hanno riscoperto il concetto di fallibilità e chiedono aiuto ai colleghi, indipendentemente dal loro grado gerarchico. Ognuno rilegge le pagine dell’altro, non solo a caccia del refuso, ma anche con l’intento di esprimere un’opinione su titolo, contenuto, forma, comprensibilità. È un circolo virtuoso: quando ricevi fiducia da chi hai sopra, tendi a darla a chi hai sotto. Quando vieni responsabilizzato, tendi a responsabilizzare.

Le riunioni sono divenute “sacre”. È il momento in cui stringo il patto con i miei colleghi. Non un scambio frettoloso di idee abbozzate, ma l’occasione in cui discutiamo approfonditamente di un pezzo per capire cosa vogliamo e dove vogliamo arrivare. Se il patto rimane intatto, probabilmente di quel pezzo non saprò nulla fino al giorno in cui andrà in stampa, e io ne approverò titolo e sommario. Se invece quel pezzo dovrà cambiare strada, il responsabile farà capolino alla mia scrivania.

Il viavai nel mio ufficio si è moltiplicato. I colleghi non vengono a lasciarmi pagine da leggere, ma a chiedermi consigli, a risolvere dubbi, ad aggiornarmi sugli sviluppi di una storia, a reindirizzare un pezzo. Sono passata da controllore a consulente, come scrivevo in questo post. E il consulente entra in gioco molto prima del controllore. Nel preciso istante in cui un dubbio rischia di trasformarsi in un pezzo venuto male.

E veniamo al sabato mattina, quando leggo accuratamente la copia che è in edicola. Un tempo non lo facevo: avevo paura di trovare errori che mi erano sfuggiti. Oggi leggo voracemente ogni singola pagina. La modalità con cui fruisco i giornali è incredibilmente simile a quella dei lettori, e così, in modo naturale, anche il mio punto di vista si è avvicinato al loro, uscendo dal cortocircuito in cui prima o poi finiscono i giornalisti: scrivere per (e in competizione con) la ristretta cerchia dei colleghi.

Ogni riunione di redazione inizia con lo sfoglio del numero precedente. Sulla mia copia ho annotato refusi, piccole correzioni, ma soprattutto lunghe note in margine ai pezzi che scatenano ogni settimana vivaci discussioni sul tipo di giornalismo che facciamo. Nulla che si possa cambiare in poche ore. Ma un check settimanale del nostro modo di fare informazione e un continuo aggiustamento di rotta. Qui lo chiamiamo: miglioramento continuo.

fonte: Annalisa Monfreda

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