Imprenditore, la tua azienda è un mezzo e non un fine… men che meno la fine!

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Buongiorno, condividiamo oggi l'articolo di Restartimprese, nella convinzione di offrire interessanti spunti di riflessione ai nostri lettori.

Che si tratti di una impresa piccola, media o grande, che sia in espansione o peggio in crisi, se c’è una dinamica che accomuna molti imprenditori (italiani e non) è quella dell’imprenditore dipendente della propria azienda.
Spesso dimentichiamo che il lavoro, la ricchezza, il successo e persino il potere che deriva dal fare impresa (come nel fare ogni altra attività) sono dei mezzi e non dei fini ultimi.
Chi pensa invece che sono dei fini, vivrà la propria vita con scontentezza cronica, all’insaziabile ricerca di qualcos’altro per colmare una mancanza che non si riesce mai a riempire, perché una volta raggiunto un certo livello (di ricchezza, successo ecc.) si renderà conto che non basta, dato che è sempre possibile avere di più! E l’asticella sale e sale finché il senso della misura si perde nell’orizzonte.
Può sembrare un discorso troppo “spirituale” per essere applicato all’imprenditoria, comprendo che non siamo abituati a questi ragionamenti, ma ad un certo punto è bene fermarsi a riflettere su questi aspetti poiché la nostra felicità è direttamente collegata ad essi.
Anni fa feci un corso con Mike Dooley a Roma, il quale spiegava in modo brillante questa distinzione con la sua “Matrix”.
Non a caso Dooley è fra gli autori del libro The Secret, uomo di successo e dunque autorevole, poiché oltre le buone teorie è l’esempio il miglior maestro.
Per spiegare bene la Matrix dovrei aprire un capitolo a parte. In questa sede voglio solo dire: caro amico imprenditore, in modo consapevole o in modo inconsapevole, il fine ultimo che tu come me e come ogni essere umano di questa terra persegui è raggiungere la felicità, quello stato di grazia che per essere vero e puro non si ha, ma si è.
Se in questo percorso che facciamo, alla scoperta della nostra felicità, decidiamo di essere o di fare l’imprenditore, sarà bene metterci in testa che, anche questa scelta, è un mezzo.
Illudersi del contrario porta inevitabilmente all’insoddisfazione se non ad un altro stato ancora peggiore.
Chi dice “il lavoro è la mia vita”, “la mia azienda è la mia vita”, “sarò felice quando avrò avuto successo con il mio lavoro” o frasi di questo genere, è sulla strada opposta alla felicità vera.
Le aziende sono fatte da e per le persone, non viceversa. Soltanto quando la felicità non dipende dall’impresa, ma l’impresa si fa essendo felici di farla (e non ho usato a caso i verbi “essere” ed “avere”) solo allora il successo, la serenità, la ricchezza e quant’altro fluiranno di conseguenza.
E’ un vizio molto comune nell’imprenditore misurarsi ed identificarsi con i risultati ottenuti con la propria impresa e questo, in tempi di crisi è assai pericoloso. Non a caso abbiamo letto storie drammatiche di atti estremi in caso di fallimento. E’ dunque un bene uscire da questa trappola ingannevole, da questa dipendenza alla quale siamo abituati a considerare “normale”.
Tu sei imprenditore, ma la tua impresa non è te. Tienilo bene a mente.
Se la tua impresa è in cattive acque, non affondare con lei. Tu vieni prima. Chiedi aiuto e attiva un piano di salvataggio d’impresa, salvaguardando il più prezioso dei capitali: quello umano.
Il resto viene dopo.
Se invece la tua impresa cresce e produce, bravo! Anche in questo caso è bene che ti ricordi che sei stato tu a creare questo risultato! E’ un grand’uomo che fa grande la sua impresa e non una grande impresa che fa dell’uomo un grande.

Fonte: Restartimprese

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