L’e-commerce è morto e anche l’omnicanalità non si sente molto bene

Posted by Dario Favaretto

E’ anacronistico parlare ancora di e-commerce. Questo è morto, perché si è ormai aperta l’era di un nuovo “commerce”, ripensato con nuovi paradigmi che includono, oltre al tradizionale canale fisico, anche i canali online e mobile. Integrati fra loro.

Non si spiegherebbe altrimenti il motivo per cui lo scorso giugno Amazon abbia acquistato la catena di supermercati WholeFood (per quasi $14Mld) e Alibaba abbia pochi giorni fa stretto un accordo con Auchan. Questi giganti dell’e-commerce sentono sempre più l’esigenza di essere anche “fisici”.

Nel 2017 l’e-commerce in Italia vale in totale circa € 24,5 Mld, di cui il 52% proviene dalla vendita di prodotti. Quindi il 4% del totale retail prodotti e il 9% del totale retail servizi sono online. Se consideriamo che nel nostro Paese le vendite online crescono del 20% circa all’anno, probabilmente fra poco tempo saremo allineati agli altri Paesi Europei più sviluppati in cui la penetrazione dell’e-commerce è superiore (19% in UK, 14% in Germania, 12% in Francia).

Ma questo significa anche che l’80% del retail sarà ancora fisico.

E’ necessario mettere il cliente veramente al centro (non deve essere solo uno slogan) ed essere pronti per intercettarlo nel suo journey, dovunque si palesi la sua volontà di comprare o solo semplicemente di comunicare con il retailer. Insomma, deve nascere nelle aziende una nuova mentalità omnicanale, abbandonando la multicanalità che invece presuppone la presenza di canali differenti non integrati e gestiti da funzioni aziendali diverse spesso in concorrenza fra di loro.

Nella mia esperienza lavorativa ho incontrato moltissime aziende ancora invischiate in questa vecchia logica. Caso banale ma esemplare quello di una nota marca di abbigliamento casual che non permette che un capo acquistato online possa essere reso/cambiato presso un negozio della sua catena fisica. A parte che riuscire a far entrare clienti in un PoS è sempre una buona idea, quel cliente potrebbe accidentalmente acquistare anche qualche altro prodotto. E sicuramente l’esperienza negativa di un cambio/reso si trasformerebbe in una esperienza positiva, soprattutto se gli addetti vendita, incentivati nel giusto modo, fossero in grado di offrire un servizio all’altezza.

Una recente ricerca dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience del Politecnico di Milano ci dice che una strategia omnicanale è implementata solo dal 10% delle imprese italiane, mentre un altro 34% ha integrato i canali senza però integrare i dati raccolti lungo tutto il processo di relazione con il cliente, non avendo quindi una vista unica sul cliente stesso. Il restante 56% segue ancora una logica multicanale o addirittura monocanale. Inoltre il 53% delle aziende italiane non possiede nemmeno un CRM unico.

Questo scenario piuttosto desolante è dovuto a ragioni relative alla (bassa) cultura digitale nell’azienda, allo scarso commitment interno e alla non condivisione dei KPI digital con tutte le funzioni aziendali. Qualche volta è anche un problema tecnologico.

Per quanto riguarda il commitment (che è il problema principale), esso deve partire dal CEO e interessare tutte le funzioni aziendali; quindi è essenzialmente un problema di organizzazione e processi. Se la prima osservazione che il capo dell’azienda ti fa quando stai cercando di spiegare i vantaggi dell’omnicanalità è: “bello l’e-commerce ma rischia di cannibalizzare il mio business fisico”, vuol dire che c’è ancora molto da lavorare. E’ vero che esiste l’effetto showrooming (se è per quello esiste anche l’effetto webrooming) ma se la logica è omnicanale e la politica commerciale è chiara e condivisa, si hanno indubbi vantaggi in termini di vendite addizionali, personalizzazione della comunicazione con i clienti, miglioramento della customer acquisition, maggior efficienza dei messaggi marketing, aumento della loyalty.

Del resto il consumatore è stra-pronto: ormai abbiamo di fronte un omnicustomer che vive in simbiosi con il suo smartphone e che è libero di acquistare everywhere, everytime, everything.

E attenzione che i Big Data e l’Artificial Intelligence stanno ulteriormente cambiando il paradigma: osserviamo infatti una sempre maggiore personalizzazione sia del messaggio Adv che del prodotto. In Cina sono ancora più avanti rispetto al mondo Occidentale: se infatti quest’ultimo è ancora molto basato sullo strapotere della search Google, in Cina anticipano i desideri dei consumatori utilizzando massicciamente i Big Data e l’AI che permettono una conoscenza accurata del cliente e la personalizzazione dell’esperienza attraverso, per esempio, WeChat.

In conclusione, le aziende italiane riconoscono l’importanza dell’omnichannel ma sono ancora molto lontane da una gestione olistica dei canali e quindi della customer experience. E’ necessaria una trasformazione, culturale prima di tutto, difficile da effettuare ma fondamentale per la sopravvivenza delle imprese stesse.

fonte: Paolo Valassi

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