Negoziamo veramente?

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Comunemente tutti i libri di negoziazione esordiscono dicendo che la capacità negoziale è strategica e che si negozia sempre. Sono d'accordo sul primo punto, non sul secondo. È innegabile rispetto al primo punto che la capacità negoziale sia una key competence trasversale a tutti i ruoli manageriali e non solo. Lasciata al caso, all'improvvisazione, all'istinto o al solo talento non basta. Occorre metodo, che neanche l'esperienza ci assicura, se non affiancata da un attento e costante processo di razionalizzazione dei nostri comportamenti, per radicare quelli efficaci e sradicare quelli inefficaci.
Si negozia davvero?

Sul secondo punto nutro ampie riserve. Mi spiego. Non ne faccio una questione lessicale, quanto di sostanza: non si negozia affatto, o almeno non così comunemente come si dichiara. Lo affermo semplicemente sulla scorta di una constatazione: se si raggiungessero davvero accordi frutto di negoziazione, il mondo sarebbe migliore di quello che è in termini di benessere economico e relazionale, sul piano personale quanto su quello sociale. Grazie al mio lavoro di consulente e coach negoziale in Bridge Partners® ho raccolto oltre tremila definizioni di negoziazione. C'è un fatto che dopo tanti anni ancora mi colpisce: l'utilizzo della parola negoziazione come sinonimo di trattativa. Non mi interessa molto l'aspetto semantico, quanto che cosa le persone facciano effettivamente quando negoziano, al di là degli esercizi definitori. La parola negoziazione tuttavia è spesso mal utilizzata anche a livello mediatico come sinonimo di "conduzione di una trattativa". "Stiamo negoziando" diventa "stiamo trattando". Non è esatto, forse lo è dal punto di vista lessicale, ma temo che ci sia un equivoco dirimente, che deve essere chiarito. Seguitemi, proverò a spiegarmi.
Le modalità relazionali

Esistono molte modalità per condurre una trattativa con effetti sostanzialmente diversi e il ricorso alle quali si fonda su un rapido calcolo tra costi e benefici. L'importante è rendere questa scelta il più possibile consapevole. Le modalità che più frequentemente sono confuse con la negoziazione sono il compromesso, l'imporsi e il cedere.
Il compromesso

Il compromesso, sinonimo e al contempo frutto di mercanteggio, è statisticamente, a mio avviso, la modalità a cui si ricorre con più frequenza nel finalizzare accordi ed è spesso e volentieri confuso con la negoziazione anche nel linguaggio comune. Non infrequentemente i giornali titolano "Si è raggiunto un compromesso tra le parti grazie a una serrata negoziazione". Una contraddizione in termini. Il compromesso è il classico trovarsi a metà strada. Io voglio 100, tu vuoi 140, ci troviamo a 120. Abbiamo 50 centesimi io voglio una pera, tu un mango e compriamo una pesca. In realtà è frutto semplicemente, come si evince anche da questi semplici esempi, di una duplice rinuncia, di 20 centesimi o del frutto desiderato. Dunque il compromesso in realtà scontenta tutti, espressione del triste adagio "mal comune mezzo gaudio", perdo io, ma perdi anche tu e questo è sufficiente a fare tutti contenti. L'ottica di non pensare tanto a quanto l'altro possa perdere, ma a quanto entrambi si possa guadagnare non è affatto istintiva nel genere umano. Conforta che però possa essere frutto di una scelta perlomeno razionale. Il compromesso comporta non solo uno svantaggio economico per l'individuo, ma genera una diseconomia anche per l'intera collettività attraverso una infelice ripartizione di risorse scarse.
Imporsi

Imporsi non richiede skills particolari, è alla portata di tutti, ha la finalità di far prevalere i nostri interessi a detrimento e scapito di quelli degli altri, è istintivo, irrazionale, e non credo rientri in nessun processo di selezione professionale la "comprovata capacità di sapere minacciare", né esistono corsi o training manageriali sull'esercizio della minaccia. E' un approccio che non tiene conto della relazione, anzi, a fronte del beneficio della nostra soddisfazione, espone al costo della compromissione dei rapporti e della propria reputazione. Chi si propone come impositivo abitualmente (a livello individuale e come organizzazione) verrà nel tempo percepito come tale dall'esterno, con le prevedibili conseguenze anche in termini reputazionali e non solo. La modalità impositiva è figlia di un atteggiamento egoriferito e muscolare, e in merito non è mia intenzione ora addentrarmi in considerazioni di tipo valoriale o etico. Mi limito a prendere atto che l'imposizione è molto diffusa nelle relazioni umane, spesso malcelata dietro atteggiamenti di segno opposto, quali buonismo e demagogia, ma di fatto praticata a vari livelli e in diversi contesti. Peraltro minacciare, perché agiamo sotto un determinato "brand" o rappresentiamo un ipotetico o reale mandato di terzi, è molto povero come approccio, delegittima chi lo pone in essere, che, nel prestarsi, diventa estremamente fungibile da parte dello stesso mandante e facilmente sostituibile, specie se ha esercitato o fondato l'esercizio della propria professionalità in modo significativo su questo modus operandi.
Cedere

Di segno opposto all'imporsi sono la rinuncia, la concessione, il passo indietro rispetto ad una posizione assunta o ad una proposta fatta, il gesto di buona volontà: comportamenti espressioni del cedere, che ci fa abdicare ai nostri interessi per soddisfare quelli degli altri, nella fiduciosa speranza che tale comportamento susciti emulazione e gratitudine, anziché maggiore appetito. Specularmente, ma di segno opposto all'imporsi, l'atteggiamento concessorio si fonda sulla convinzione della debolezza del proprio potere negoziale e anche il cedere, come l'imporsi, non necessità di grandi capacità e tecnicismi manageriali. Diciamo che sul mercato del lavoro persone capaci di imporsi o cedere se ne trovano senza particolari difficoltà, quindi fondare su queste prassi comportamentali la propria attività manageriale non costituisce, come per l'imporsi, un elemento di valorizzazione della professionalità o un elemento di particolare distinzione. La modalità concessoria è diffusa tanto quanto quella impositiva, ma è praticata più inconsapevolmente. Concediamo nella fiduciosa speranza che gli altri comprendano il valore di ciò che stiamo dando e ce ne siano grati, pronti a ritornarci a loro volta un segno tangibile e per noi appagante della loro gratitudine.
La domanda è: se noi siamo i primi a non attribuire valore a ciò che diamo, facendo per esempio agevolmente retromarcia rispetto ad una proposta fatta, perché dovrebbero farlo gli altri? Inutile lamentarsi poi.
Nessuno di noi, penso, faccia fatica nella vita personale quanto in quella professionale a rinvenire episodi di fiducia malriposta, che non ha trovato traccia di corresponsione nel comportamento degli altri. La concessione ha un costo importante: quello di non garantirci che ciò che diamo sia apprezzato e questo può causare sconforto, delusione e rabbia finanche, perché ci accorgiamo poi che per fare un gesto di buona volontà, in nome di una supposta relazione, si è rinunciato ai nostri interessi o a parte di essi, per favorire quelli degli altri, senza neppure appagarne l'appetito, ma finanche accrescendolo.
Che cos'è dunque la negoziazione?

È una modalità relazione fondata sullo scambio reso possibile dal diverso valore che le persone attribuiscono alle risorse: non è cedere tout court, né imporsi, ma è il classico "se tu allora io", il chiedere qualcosa in cambio che valorizzi ciò che stiamo dando, anche a salvaguardia della nostra credibilità. Nei prossimi mesi in queste pagine affronteremo il tema delle skills negoziali, alquanto articolate, complesse e per nulla scontate, alla luce di un approccio fondato su un metodo che può aiutare a sviluppare piena consapevolezza dei propri comportamenti e grazie al quale migliorare continuamente.

Fonte: Bridge Partners® – Negotiation Drivers
Autore: Alessandra Colonna, Managing Partner di Bridge Partners®

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