UNA VISIONE INTEGRATA DELLA LOGISTICA PER LO SVILUPPO DEL PAESE

Posted by Dario Favaretto

L’Italia ha bisogno di logistica, e la logistica ha bisogno di una visione integrata e di sistema, per poter rispondere alle esigenze di un mercato globale. Questo il messaggio lanciato da Carlo Mearelli in occasione dei due importanti appuntamenti di Assologistica di fine 2015

Come si presenta oggi il settore della logistica in Italia? A questa domanda ha voluto rispondere Assologistica con l’incontro che si è svolto il giorno prima dell’evento dedicato alla consegna dei Premi “Il logistico dell’Anno”, a dicembre 2015. Per quanto l’approccio ottimistico e concreto sia indubbiamente quello giusto da perseguire, la giornata di assegnazione dei premi è pensata come momento di festa, nel quale vengono evidenziate solo le luci del nostro settore (che fortunatamente sono tante e significative). Purtroppo però non vi sono solo luci, bensì anche diverse ombre, in termini di ostacoli che rallentano il suo progresso in generale.

Per questo Assologistica ha convocato, come detto il giorno prima del convegno dedicato ai premi, una conferenza stampa, nella quale Carlo Mearelli, presidente, insieme a tutti i vicepresidenti riuniti, ha presentato la situazione del settore logistica in Italia in generale, considerando in particolare i tanti passi avanti ancora da fare e le criticità da superare. A vantaggio, sottolinea Mearelli, non solo del comparto in sé, che attende ancora di poter esprimere tutte le sue potenzialità, ma anche e soprattutto del Paese nel suo complesso, che ne potrebbe beneficiare enormemente in termini di aumento del PIL nazionale, di miglior gestione delle risorse e di ricadute occupazionali su tutti gli altri settori, a cominciare da quello che può risultare più attiguo come il turismo.

LA LOGISTICA COME DIREZIONE D’ORCHESTRA

Per fare il punto della situazione, bisogna innanzitutto capire qual è il significato che viene attribuito in Italia alla parola “logistica”. Purtroppo questo termine non fa ancora pienamente parte delle competenze del nostro Paese, né di quelle dei suoi decisori politici. La logistica infatti si può paragonare alla direzione di un’orchestra, cioè alla capacità di far suonare insieme e al momento giusto, tanti strumenti diversi. In Italia invece l’attenzione è di volta in volta spostata sui singoli strumenti o tutt’al più sulla categoria che essi individuano: porti, aeroporti, ferrovie, trasporto stradale e così via. E questo perché, purtroppo, la frammentazione dei canali è stata lo scenario che ha consentito, finora, la maggior conservazione di poteri locali e l’accesso incontrollato a risorse pubbliche. Al contrario la vera essenza della logistica sta proprio nella capacità di orchestrare in modo complessivo e coordinato l’intera filiera, che in un contesto globale per forza attraversa nodi diversi.

Questo finora è stato il grande errore commesso, in misura più o meno grave, dai vari governi, con qualche eccezione che fortunatamente riguarda in modo particolare l’attuale: stiamo assistendo infatti ad uno sforzo di razionalizzazione, che punta a riorganizzare un sistema frutto di consuetudini non più adeguate ai tempi. Tutto ciò che è avvenuto fino ad oggi, è andato strategicamente e tatticamente contro l’idea di una logistica italiana, vista nel solo modo corretto: in termini sistematici e integrati. Non può esistere una logistica per il comune di Roma né una logistica per il Comune di Milano; non può esistere una logistica per la regione Lombardia o per la regione Veneto. Esiste solo la logistica del “sistema Italia”. E anzi, persino questa risulta insufficiente rispetto alle vere esigenze del mercato: l’unico riferimento corretto è quello di un sistema logistico europeo, con corridoi di transito ben definiti, che mettono in relazione tutti i punti del continente, dal centro alla periferia e da un estremo all’altro. Questo è l’unico modo corretto per intendere la logistica: come un sistema completo e integrato. Senza questo colpo d’occhio, il significato del settore logistica risulterà sempre travisato e inadeguato alle vere esigenze del mercato e dell’industria in generale.

L’AZIONE SUL SETTORE AEROPORTUALE

Ad esempio, l’estate scorsa è stato rilasciato il piano di razionalizzazione dei 110 aeroporti italiani, fra i quali sono stati scelti i trentotto che si ritengono essere di importanza nazionale; all’interno di questi, dodici scali sono stati riconosciuti come particolarmente strategici (Milano Malpensa, Torino, Venezia, Bologna, Firenze/Pisa, Roma Fiumicino, Napoli, Bari; Lamezia Terme, Catania, Palermo e Cagliari) e fra questi solo tre sono i gate internazionali: Roma Fiumicino, Milano Malpensa e Venezia. È evidente quella che è stata finora la dispersione delle risorse connessa ad un numero così elevato di infrastrutture aeroportuali, in quanto ogni scalo doveva disporre di un suo presidio in termini di Vigili del Fuoco, Polizia, Carabinieri, Enav, Enac e così via. E nonostante questo dispiegamento di forze, gli aeroporti in Italia riescono a gestire solo il 35% delle merci ad elevato valore aggiunto che vengono prodotte nel nostro Paese e che devono raggiungere le proprie destinazioni per via aerea. Il mercato dei prodotti di alta qualità destinati alla via aerea corrisponde al 3% dei volumi, come metri cubi complessivi da trasportare, ma anche al 30% del valore del PIL nazionale! Dunque solo un terzo di questi prodotti di altissima qualità prende il volo in uno dei nostri 110 aeroporti (o 38, come dovremmo dire oggi). Tutti gli altri, vengono caricati su un camion che si reca presso gli hub aeroportuali di Amsterdam, Liegi o Francoforte. Anche per questo ci siamo spesi, come Assologistica, a favore di una gestione trasparente dell’aeroporto di Montichiari, perché questo scalo avrebbe potuto intercettare più facilmente questo tesoro viaggiante, via ruota, verso altri scali, che risultano maggiormente capaci di soddisfare queste esigenze. Perché? Le ragioni sono diverse. Ad esempio, l’Italia non possiede una compagnia aerea di riferimento: Alitalia non esiste più, e la nuova Alitalia ha delegato il sistema di trasporto delle merci a KLM ed Air France. Ma dobbiamo combattere anche sui dettagli come gli orari di apertura: lo sapete che Malpensa chiude i propri uffici doganali il sabato e la domenica? Come possiamo non prediligere uno scalo che, a 500 km di distanza, opera regolarmente tutti i giorni, Natale compreso?

LA LOGISTICA COME INDUSTRIA A VANTAGGIO DI TUTTE LE ALTRE INDUSTRIE

Secondo i dati diffusi all’inizio dello scorso anno dall’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano, nel 2014 il fatturato della logistica in outsourcing, pari a 77,3 miliardi di euro, è risultato in crescita dell’1,8% rispetto all’anno precedente. Ugualmente in crescita le tendenze per gli anni successivi: secondo le previsioni, si dovrebbe arrivare a 78,3 miliardi di euro nel 2015 e 80,9 miliardi di euro nel 2016, rispettivamente +1,4% e +1,8% anno su anno. Altrettanto rilevante il valore complessivo della logistica in Italia: il mercato della logistica conto terzi (il fatturato degli operatori al netto del valore del sub-appalto) vale 42,6 miliardi di euro nel 2013, pari al 39,1% del valore complessivo della logistica (109 miliardi di euro tra costi in-house e in outsourcing), pari al 7% del PIL nazionale. Ora, l’industria italiana è ancora al secondo posto in Europa e fra le prime dieci al mondo – teniamolo sempre presente per mettere le cose nella giusta prospettiva. Come possiamo leggere questi dati? Innanzitutto, come uno scenario di grande interesse che si apre tuttora per le aziende di logistica. Ancora due terzi delle industrie nazionali detengono la logistica al proprio interno ed è tutto mercato potenziale ancora da esplorare. E in questa crescita, alla quale fortunatamente stiamo già assistendo, c’è qualcosa che, se opportunamente organizzato e compreso, può fare la differenza per l’industria nel suo complesso, in termini di competitività. In questi dati risiede infatti ancora una profonda contraddizione.

Siamo sì il secondo Paese industriale d’Europa, anzi al vertice in settori ad elevato valore aggiunto: ma i nostri prodotti, una volta che sono pronti per uscire dalla nostra fabbrica, non ci interessano più. Siamo in grado di realizzare oggetti unici e sofisticati, ma tutto ciò che accade loro dal punto di vista della loro gestione e distribuzione, non risulta essere di nostra competenza, e ci accontentiamo della vendita “franco fabbrica”, come se quel qualcosa che abbiamo costruito con tanta cura, non meritasse di essere gestito al meglio fino alla sua destinazione. Peccato che altri lo abbiano capito, in altri Paesi, dove è ormai palese il fatto che non solo la logistica è un’industria in grado di generare indotti a nove zeri e di impattare positivamente sulla cassa fiscale, ma che attraverso la leva della logistica è tutto il sistema industriale che ne trae beneficio. Torniamo sempre al problema iniziale: in Italia la logistica non è compresa in quanto tale. Ne è prova il fatto che, nei vari provvedimenti che si sono visti negli ultimi anni, si è sempre parlato, ad esempio, di “piano strategico dei porti e della logistica”, o di “piano strategico degli aeroporti e della logistica”. Perché deve esserci sempre un’altra parola insieme a “logistica”? Non esiste ancora una conoscenza effettiva, e quindi un riconoscimento giuridico, della logistica come settore industriale a sé. Le ragioni per cui questo è accaduto, le abbiamo già denunciate sopra: è tempo però che si superi la frammentazione, per puntare non più al bene dei singoli poli o dei singoli centri di potere – e relativi bacini elettorali – ma al bene del Paese nel suo complesso. A tal fine, è già cominciata l’azione di Assologistica per la definizione di un centro di competenza unico sulla logistica, nell’ordinamento italiano.

UN’OTTICA INTEGRATA IN SEDE DI GOVERNO

Al di là quindi dei “tavoli di concertazione” che, fortunatamente, questo governo ha fortemente ridimensionato, sarebbe indispensabile conferire una precisa delega alla logistica a uno dei viceministri ai Trasporti. In questo modo si potrebbe colmare la lacuna attuale: il fatto che i nostri organi decisori non dispongano di una funzione di governo e indirizzo centrale, in grado di cogliere il sistema logistico come un unicum integrato, ancorché composto da tanti nodi diversi. Anche per questa ragione, i tanti provvedimenti che si sono ottenuti negli ultimi anni, magari corretti in sé, non potevano che rimanere fermi sulla carta: generati da interessi di parte, non hanno potuto che soccombere all’attacco di interessi di altre parti. Al punto in cui siamo è inoltre inutile parlare di mancanza di infrastrutture e proporre nuove realizzazioni come strumento di competitività. A nostro avviso ormai l’Italia dispone di infrastrutture sufficienti, se non anche ridondanti: sicuramente, molte di queste sono sottoutilizzate o male utilizzate. Per quanto riguarda la gestione delle merci, siamo dell’idea che il livello di infrastrutture in Italia sia adeguato e che la risposta non si trovi più nell’aggiunta di cemento, quanto piuttosto nella gestione corretta della rete e dei nodi, in modo che tutte le infrastrutture risultino correttamente utilizzate. Secondo quali criteri?

Questo, dovrebbero deciderlo i nostri leader: in base a considerazioni di tipo sistemico e ad un piano nazionale reale e a lungo termine, definito il quale si potrebbero far emergere i nodi da privilegiare per la gestione delle merci, sia come gate di ingresso, che come assi di attraversamento in Italia e verso l’Europa. Una visione sistemica darebbe poi il giusto equilibrio ai due mondi diversi del trasporto passeggeri e trasporto merci, con riferimento anche agli investimenti in alta velocità. Sono indubbi gli eccellenti risultati conseguiti dall’avvio dei nuovi progetti ferroviari, ma è evidente lo sbilanciamento sul trasporto persone, anzi su una fascia parziale di questo. Una visione d’insieme – come hanno, ad esempio, in Germania – servirebbe ad evitare il totale drenaggio delle risorse dal trasporto merci, verso progetti centrati solo su una frazione delle risorse infrastrutturali del Paese, per una frazione dei suoi utenti. Considerando anche che questa caduta libera del trasporto ferroviario delle merci è in totale controtendenza con ciò che ci chiede l’Europa, con qualsiasi protocollo di sostenibilità ambientale, e con quanto intere popolazioni in Europa stanno chiedono ai propri governi, come avvenuto in Svizzera, dove un referendum popolare ha affermato, per i prossimi dieci anni, una strategia di investimenti il cui effetto sarà il sostanziale azzeramento del trasporto su gomma.

Ciò che Assologistica chiede a questo governo, anche per come è nato e per la snellezza con cui si può muovere, al di là la di operazioni non facilmente realizzabili in tempi brevi, è però in sostanza la forza delle scelte. Per quanto noi abbiamo una nostra opinione, tecnica, non è compito nostro stabilire quali debbano essere i nodi principali della rete logistica. Il punto di vista deve essere superiore e in questa sede ci deve essere la forza di compiere delle scelte, di stabilire delle regole e di farle rispettare.

Questo ci aspettiamo da un governo che gode di uno dei più alti consensi, interni ed esterni, della storia repubblicana. Siamo nella condizione ideale per fare qualcosa: se questo è ciò che si vuole. Il punto di vista degli spedizionieri Per comporre il quadro di mercato è interessante riportare anche di dati resi noti da Fedespedi nel corso della sua ultima assemblea pubblica, durante la quale sono stati presentati i risultati dei sei mesi di ricerca svolta sul ruolo delle imprese di spedizione nel commercio internazionale, realizzata grazie al lavoro del professor Fabrizio Dallari e del C-log – Centro di Ricerca sulla Logistica dell’Università Cattaneo di cui è il presidente.

È di 14 miliardi di euro il fatturato complessivo generato nel 2014 dalle 1.750 aziende di spedizioni attive in Italia che danno lavoro a circa 30.000 addetti diretti, mentre è di 14,9 miliardi di euro il valore dei diritti doganali (IVA e dazi) versati lo scorso anno alle casse dallo Stato dalle imprese del settore. E ancora, 14,9 miliardi di euro di diritti doganali (IVA e dazi) versati lo scorso anno nelle casse dello Stato per conto dei propri clienti. Questi, in sintesi, i numeri principali del comparto degli spedizionieri operanti in Italia, contenuti all’interno dello studio elaborato da un team di ricercatori ed esperti di commercio internazionale guidato dal professor Dallari.

Per quanto riguarda il profilo del comparto, lo studio evidenzia una struttura incentrata sulle piccole e medie imprese (l’86% delle aziende realizza infatti un fatturato che arriva fino a 10 milioni di euro mentre solo il 2% supera i 50 milioni di euro) con forti specializzazioni merceologiche o geografiche e un buon numero di player strutturati che nel tempo si sono trasformati da case a imprese di spedizione (il 75% del mercato viene realizzato da meno del 15% delle aziende). Dal punto di vista della localizzazione geografica, emerla ricerca mostra una maggiore concentrazione delle imprese nel Nord Italia, dove è presente il 75% delle aziende di spedizione individuate. Milano, in particolare, risulta essere l’area privilegiata di insediamento degli spedizionieri, sia degli headquarter dei grandi gruppi nazionali e internazionali, sia delle unità operative di imprese con sede centrali fuori dalla Lombardia. Seguono per importanza le province caratterizzate da importanti cluster portuali, quali Genova, Livorno e Venezia e quelle che rivestono un ruolo trainante nel sistema manifatturiero italiano, come Bologna, Brescia, Firenze e Vicenza.

Con riferimento al peso economico delle aziende del settore, i 14 miliardi di euro di fatturato complessivo generato nel 2014 sono pari a circa il 20% del fatturato italiano dell’intero settore dei trasporti e della logistica, un dato rilevante se si considera che è il contributo di sole 1.750 aziende su un totale di 100.000 imprese della logistica attive nel nostro Paese. Inoltre, dei 14 miliardi di euro totali ben 12 miliardi di euro costituiscono l’indotto per i fornitori impegnati a vario titolo nella catena logistica (autotrasportatori, compagnie marittime e aeree, terminalisti, doganalisti e CAD, ecc.), a testimonianza del valore che l’attività di spedizione genera per tutti gli attori della supply chain del settore. In virtù della normativa nazionale in merito alla responsabilità in solido degli spedizionieri nei confronti dell’Erario, le imprese di spedizioni svolgono un ruolo di grande rilevanza anche per lo Stato. Nel 2014, considerando solo le merci in import, i diritti doganali versati dalle aziende del settore alle casse dello Stato ammontano a 14,9 miliardi di euro, di cui 12,9 miliardi di euro di IVA (versata trimestralmente) e 2 miliardi di euro di dazi (di cui il 25% incassato dall’Erario per effetto dell’ingresso di merce di origine extra UE attraverso porti e aeroporti italiani).

La ricerca mostra anche come, per le aziende individuate, l’export costituisca una quota di fatturato superiore rispetto all’import e come il trasporto marittimo sia la modalità di trasporto più utilizzata seguita da quella terrestre e da quella aerea. Inoltre, in presenza di specializzazioni geografiche e merceologiche, la principale area di attività delle imprese di spedizione operanti in Italia risulta essere l’Asia, seguita dal Medio Oriente, Nord America e Centro Sud America e la tipologia di merce prevalentemente movimentata quella dei settori della meccanica, dell’automazione e dell’automotive, seguita dal tessile, dall’abbigliamento e dalle calzature e da quella legata al comparto dell’impiantistica.

LA “PIATTAFORMA LOGISTICA ITALIA” ALL’INCONTRO PROPELLER CLUBS

Nel corso della XIV Convention Nazionale The International Propeller Clubs, tenutasi a Milano a fine ottobre 2015, con altrettanta forza sono stati ribaditi i temi cruciali per lo sviluppo del settore logistica: l’importanza della logistica per l’economia italiana, le prospettive internazionali, la logistica come industria e fattore di sviluppo, e le principali richieste alla politica. Secondo quanto riportato da Riccardo Fuochi, Presidente del Port of Milan, la logistica vale in Italia 200 miliardi di euro, pari al 13% del PIL (i dati sono forniti da Srm, Studi e Ricerche per il Mezzogiorno), con un milione di occupati. Tuttavia il Sistema Logistico Italiano è solo al 20° posto nel World Bank’s Logistics Performance Index, dove risultiamo, nel dettaglio, al 29° posto per efficienza doganale, al 19° per infrastrutture e accessibilità, al 17° per efficienza e al 22° per tempistica. Sul settore logistica Italia insistono con pari intensità le prospettive internazionali, e le opportunità per l’economia nazionale. Nel primo caso, le merci definiscono le rotte a livello globale e le imprese internazionali chiedono soluzioni per evitare interruzioni e discontinuità nella supply chain, velocità e qualità, affidabilità e tempi certi, porti e infrastrutture adeguate, coordinamento e connessione tra le diverse modalità di trasporto (stradale, marittimo, aereo), e la possibilità di disporre con anticipo di tutte le informazioni per la gestione e la movimentazione delle merci. Tornando in Italia la logistica va considerata in pari misura come industria e fattore di sviluppo, e come provider di servizi. La logistica è a tutti gli effetti un’industria del Made In Italy, e in più è un chiaro fattore di successo per tutte le aziende che competono sugli scenari internazionali e in particolare per i settori dove l’Italia eccelle, quali moda, design, alimentare e così via. Ad esempio una testata come Panorama, nel maggio 2005, affermava che “le eccellenze del made in Italy devono essere accompagnate nel mondo attraverso una logistica moderna e integrata”. Ciò che si chiede alla politica, come azione sul settore, è pertanto una cabina di regia, nella consapevolezza dell’importanza di questa industria, in grado di orientarne correttamente una politica nazionale. Le semplificazioni amministrative, il ricorso alle tecnologie digitali, lo scioglimento dei colli di bottiglia nelle nostre infrastrutture (in particolare quelle portuali) e un processo di aggiornamento e revisione normativa, sono tra i temi maggiormente in evidenza per dare il giusto impulso ad una industria che risulta strategica di per sé, e a maggior ragione in riferimento alla diffusione del Made in Italy nel mondo.

L’INTERMODALITÀ FERROVIARIA IN ITALIA

L’intermodalità ferroviaria come snodo chiave per lo sviluppo della logistica e dell’economia italiana: l’opinione di Sergio Crespi, da novembre 2015 Direttore Generale di Interporto Bologna Mentre in Germania, Svizzera e Austria sono state messe in campo importanti misure di sostegno all’intermodalità ferroviaria, in Italia si è assistito a un impoverimento della competitività del settore ferroviario delle merci. L’Italia intermodale si ferma sulla Gronda Nord del Paese, rappresentata dai terminali ferroviari di Novara, Busto/Gallarate, Melzo, Segrate, Novara, Verona.

Le prosecuzioni sono prevalentemente di carattere camionistico. Le ragioni di questo fenomeno sono determinate dall’assenza di politica di sostegno all’ intermodalità in Italia, unita alla presenza di una forte politica di supporto al traffico intermodale negli altri Paesi Europei. Prendiamo il caso di due grandi operatori intermodali attivi in Italia e in particolare nella citata Gronda Nord: Hupac e Kombiverkehr. Per Hupac, operatore intermodale svizzero l’Italia è un mercato importante. Uno dei Terminal principali a livello europeo è infatti quello di Busto/Arsizio Gallarate in Lombardia con una superficie di 250.000 mq e più di 50 treni giorno realizzati sud – nord.

Hupac ha investito nella costruzione del Terminal di Busto/Gallarate che ha assicurato quel collegamento intermodale indispensabile alla competitività dell’industria lombarda. Kombiverkher è l’altro grande operatore ferroviario europeo con più di 200 treni settimanali sulla direttrice Italia – Germania. In Italia, dalla citata Gronda Nord in giù, si paga negativamente il fatto che la rete ferroviaria nazionale deve essere dotata di aspetti che assicurino la competitività e produttività dei treni merci, in termini di sagome e profili, per permettere di realizzare treni più lunghi e più pesanti. Gli adeguamenti delle sagome, dei profili, dei raccordi ferroviari lungo gli itinerari principali sono fattori strategici per lo sviluppo del trasporto intermodale ferroviario. La sagoma P400 e la lunghezza dei treni merci a 750 metri sono una condizione indispensabile per rendere performante la prestazione dei treni merci sulla rete ferroviaria italiana. Consideriamo inoltre che con l’apertura della Galleria di Base del Gottardo, in Italia arriveranno più treni dal Nord Europa. Ciò potrebbe portare a saturazione i terminali della Gronda Nord.

L’Interporto di Bologna, in questo caso, potrebbe giocare un ruolo importante con la sua capacità ferroviaria importante (tre terminals intermodali per un totale di 600.000 mq di impianti ferroviari). Di conseguenza, saranno importanti e strategici i collegamenti ferroviari tra Bologna – Nola – Marcianise – Bari e l’apertura della linea Adriatica ferroviaria al profilo P400; questo permetterà di allineare il Sud Europa al Nord Europa e sarà la chiave di successo per l’ulteriore sviluppo dell’intermodalità europea ma soprattutto italiana, con il profilo P400 che andrà da Bari alla Svezia via ferrovia. A questo si dovrà aggiungere l’adeguamento del profilo a P400 della tratta Piacenza – Bologna. Insomma, non è mai troppo tardi; anche noi potremo allinearci agli standard europei e far sì che l’intermodalità ferroviaria italiana sia la locomotiva all’economia italiana.

fonte: Logistica Management

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